lunedì 19 settembre 2016

Di anima e bianche piume

Il canto di Branwen comincia a sfiorare le foglie, che sospinte dalle prime folate di vento autunnale, e immerse nelle prime nebbie del mattino, si staccano dai rami e fluttuano a terra. Tornano alla terra e nella terra, accedono al candido mondo dello spirito e lentamente si rigenerano per creare nuova vita.
Branwen è la terra, ma più di tutto è lo spirito della terra. Vive nel centro dell’essere di ogni creatura partorita dal grembo terrestre, è l’anima bianca che si nasconde nel cuore di tutto ciò che esiste, ed è Colei che anima, Colei che rende ogni cosa animata, ovvero infusa di spirito.
Non tutto ciò che esiste si può definire vivo, eppure in natura non esiste nulla che sia realmente inanimato. Anche le pietre, le rocce antiche quanto il tempo, partecipano dell’anima terrestre, ed è proprio con una pietra spezzata che Branwen ricorda il suo insegnamento al mondo. Aprirsi, anche a costo di spezzarsi, per comprendere, per amare, per svelare l’anima celata nel proprio cuore.
Se esiste una divinità che possa rappresentare più di tante altre l’ideale puro di animismo, questa è senza dubbio Branwen, poiché lei, tornando alla terra e mutandosi in spirito – il corvo bianco – torna a vivere in ogni cosa, e può essere trovata in ogni cosa pura, naturale, animata.
Spesso Branwen viene conosciuta veramente solo nel momento in cui si attraversano esperienze dolorose, esperienze che spezzano il cuore, per questo può apparire una divinità triste, legata al dolore e al patimento, ovvero a ciò che lei stessa sperimenta nei modi più terribili nel corso della sua storia. Eppure la sua vita insegna proprio ad andare oltre il dolore, a superare la soglia del dolore, o anche solo delle piccole difficoltà della vita quotidiana, per accedere al reame dello spirito, candido e leggero come una piuma.
Branwen mostra la soglia, ma incarna la più grande luce della gioia animica che si cela oltre quella soglia, e che può essere trovata nel momento in cui si abbandona tutto ciò che spezza per entrare in quella breccia e fondersi con la bellezza eterea e perenne della propria anima. Attraverso l’insegnamento di Branwen, la connessione con lo spirito di tutte le cose viene ristabilita, la gioia e la bellezza imperitura della propria anima – Branwen stessa che vive in ognuna/o di noi – vengono ritrovate, e in questo modo l’armonia originaria viene risanata e si rientra in uno stato di estatica Comunione con la natura.
Per questo Branwen è Colei che anima, Colei che libera, Colei che attraverso la ferita di un cuore aperto mostra la luce e la gioia più grandi.

lunedì 12 settembre 2016

Seguendo le Vie dei Canti...

Le ultime giornate estive portano in sé le prime voci dell’autunno, quelle che parlano nel profondo, quelle che si odono riecheggiare nei vapori delle nebbie e nel frusciare leggero delle foglie secche… e sull’onda sottile di queste voci, ho di nuovo viaggiato, seguendo le mie vie dei canti, i percorsi bisbigliati nel cuore, dettati dall’istinto, resi brillanti dai riflessi argentei della tela del mio destino.
Ho ascoltato il messaggio conservato all’interno di una storia, un messaggio che era lì per me, e l’ho seguito…
La storia è quella di Colei che Guarisce, una delle Tredici Madri Clan delle Origini, e già prima di cominciarla sapevo che, in un certo qual modo, mi avrebbe Guarita… o meglio, mi avrebbe indicato il modo per guarirmi da sola. Per quanto sia difficile la Guarigione a cui tendo costantemente dall’inizio della mia esistenza, è stato così, perché un piccolo indizio di Guarigione era nascosto fra quelle righe piene di saggezza. In ogni storia in cui compaia una delle Madri Clan, ogni creatura porta il nome che esprime pienamente la propria essenza, che si tratti di animali o di donne e uomini, ognuno è Chiamato per ciò che è veramente, e ognuno deve fare attenzione a non tradire il proprio nome, ovvero tradire se stesso, diventando qualcosa di diverso da ciò che è veramente e di cui porta il nome.
Nella storia di Colei che Guarisce, una donna rischia la vita durante un parto molto difficile, mentre la curatrice la assiste con amore e sapienza, nel centro della Grotta del Parto. La giovane partoriente è vicina a lasciarsi andare, provata dalla fame e dallo sforzo del travaglio, e Colei che Guarisce, riflettendo, comprende che solo nel ricongiungimento con la propria Anima – chiamata Orenda – la donna può ritrovare in sé la forza della Grande Madre – chiamata dalla tradizione nativa Grande Mistero – e sopravvivere.
La giovane si chiama Luna di Zucca, e nel luogo liminale fra la vita e la morte, ripete il proprio nome e vede la propria stessa natura manifestarsi davanti a lei… una Luna arancio, la Luna del Raccolto, e poi una donna meravigliosa, la vera se stessa, coronata di foglie dorate, di bacche e spighe di grano, poiché di queste manifestazioni naturali porta in sé l’essenza. La sua immagine brilla d’amore, l’Amore di Madre Terra e Padre Cielo, e la giovane si sente traboccare di quell’amore divino, che le dona una forza immensa e le restituisce la vita, per sé e per la sua bambina. Una bambina che verrà subito chiamata Coperta della Terra, perché nata alla fine delle Lune della Carestia, quando a poco a poco la terra si ricopre della sua coperta verde, simbolo di rinascita e nuova vita.
Non era la prima volta che incontravo queste donne meravigliose, e mi aveva sempre affascinata il particolare del loro nome. Ognuna si chiama per ciò che è, per ciò che incarna, in base alla propria natura, al tempo della propria nascita sulla terra, alla posizione di Sole, Luna e Stelle. Ogni nome, ogni singolo nome, racchiude in sé l’infinito dello spirito di colei o colui che lo porta. Ogni nome è come una mappa a cui attingere per orientarsi nel corso della vita, e a cui ricorrere quando si dimentica la rotta.
Ricordando e ripetendo il proprio nome, tutto si fa più chiaro, tutto torna al proprio posto, la rotta viene ritrovata e con essa la consapevolezza di essere esattamente dove si deve essere, perché si è connesse/i alla propria Anima, e nulla di più sacro e importante esiste al di là di questo.
Ma per noi non è così facile… non abbiamo ricevuto nomi di questo genere. Abbiamo un nome, ma quanti di questi nomi ritraggono la nostra profonda essenza? Fra di noi nessuna/o si chiama Luna di Zucca, o Lago Chiaro, o Coperta della Terra, o Cane Piumato, o Fuoco di Stelle, o Piccola Aquila, e via dicendo.
Fra di noi nessuna/o possiede la mappa, la chiave della propria essenza racchiusa nel proprio nome, perché da secoli non esiste più la tradizione del Nominare in base alla verità profonda di ognuna/o.
E allora? Ci si arrende al non sapere? No, almeno io non ho voluto farlo…
Naturalmente mia madre non ha mai pensato di chiamarmi in questi modi, anche se amo il nome che mi ha dato, ma visto che nella storia di Colei che Guarisce è la stessa neonata a suggerire a Luna di Zucca il nome che vuole ricevere, allora forse siamo noi stessi a poter scegliere, con assoluta e imprescindibile sincerità, attingendo alla più vera e spontanea verità di noi stessi. Io ho voluto farlo, ci ho provato, e un nome è sorto da solo… e mi ha già condotta lungo nuove vie dei canti, fino a portarmi ad un’altra storia che mi ha parlato di ciò che sono, di ciò che cerco, di ciò che per me è tutto.

Sono nata nel tempo della neve e del primo risveglio, e da varie esperienze passate sapevo già di essere particolarmente legata, nonché fisicamente somigliante, ai piccoli uccelli. Il mio segno è altresì un segno d’aria, e il mio modo d’essere richiama le virtù dell’aria. Libertà, soffio d’ispirazione, creazione di arti trasmesse tramite l’aria – parole, scrittura, canto – indipendenza e intolleranza verso ciò che è mi “tiene a terra”.
Aria, dunque, e notte. Sono sempre stata particolarmente notturna, sin da bambina ho sempre desiderato stare alzata la notte, incurante dei traumatici risvegli che mi sarebbero toccati al mattino, e la sera esatta in cui sono nata, in cielo brillava la luna piena.
Rileggendo alcuni brani della storia di Colei che Guarisce, mi è saltata agli occhi una frase: “il Pettirosso, che canta dei fiori quando la Terra è ancora coperta di neve”.
Eccomi. Ecco la mia essenza. Qualcosa dentro di me ha sorriso e ha esultato. E ho riconosciuto il mio nome.
Sono Pettirosso della Luna, e a questo nome la mia anima risponde.
Provo a immaginare la sua immagine, oltre a quella di un gioioso e aggraziato pettirosso femmina che canta alla Luna – i pettirossi sono prevalentemente notturni, oltre che diurni, e cantano sia di giorno che di notte – e vedo una Fanciulla castana, vestita di bianco, che brilla nella notte blu scuro illuminata dalla Luna. È coronata e ornata di bacche scarlatte, di cristalli di neve e brina, eppure porta il messaggio del risveglio, del soffio d’ispirazione che crea e dà alla luce la nuova vita.
E vorrei davvero sentire quei Raggi d’Amore nei quali la Grande Madre mi avvolge, per ritrovare la loro forza e l’entusiasmo per la vita qui e ora, come succede a Luna di Zucca nella sua storia.
Ma questa è solo una piccola parte della mia storia, che è già stata scritta e continua a essere scritta, giorno dopo giorno.
Come quella di tutte e tutti, perché ognuna/o ha la propria storia. E il proprio nome.
Non so per certo quanto di vero e di reale ci sia in ciò che ho percepito, e non so se muterà nel tempo, ma per adesso mi nutre e mi incanta… per cui esprimo la mia Gratitudine.
E ringrazio anche per la storia a cui il nome mi ha portata… una delle più dolci e belle che abbia mai letto, e certamente quella che più di tante altre rispecchia la mia verità.

***

“Lo sai… quanto tempo ti ho cercato… ?”, disse la Luna con voce di vento, e nel parlare il suo manto argenteo increspò appena il mare. Il Pettirosso non rispose, la guardò, ed allungò le ali per sfiorarle le gentili dita d’opale, che accarezzavano appena l’acqua scura. La Luna continuò.
“Da oriente ad occidente… cercando di te… ho vagato seguendo il corso dei fiumi, ho sfiorato le cime nude della vita… ho illuminato campi, fra il canto dei grilli ed i fiori addormentati… ed infine, stanotte, sono scesa sul mare… sul filo dell'orizzonte… e finalmente ti ho trovato…”.
Il Pettirosso gonfiò il petto vermiglio, dello stesso colore di quella luna bambina… e cinguettò…
“Io sono sempre stato qua… non mi sono mai nascosto, eri tu a svanire nel cielo… Anch’io ti ho chiamata tante volte… ma forse la mia voce non riusciva ad arrivare così lontana… la luce del mio cuore è più fioca della tua… e così i miei trilli… Scusami se puoi…”. Il suo canto era sincero…
La Luna strinse quelle fragili morbide ali fra i suoi raggi ed il Pettirosso chiuse gli occhi e le volò più accanto.
(…)
La Luna era felice di stringere il suo amico sul suo seno, ma già vorace l’attimo balzava su quello successivo; e così, il tempo rubò un pezzo di quell'astro… e poi ancora… Così, al Pettirosso sfuggì un sospiro…
“Vedi, hai perso di nuovo un po’ di te…”, le disse, “Scomparirai ancora… Ma questa volta canterò così forte che quando tornerai non dovrai cercarmi… mi potrai udire facilmente…”.

(Tratto da La Luna e il Pettirosso, favola di Andrea Antognini, 1999)